di Alfredo Falletti
“Tutti i governi post-unitari”, in oltre un secolo e mezzo hanno sempre avuto chiara l’esistenza del fenomeno mafioso e del suo ruolo condizionante di tutto il Sud e soprattutto della sacrificabile Sicilia, una sorta di Guyana francese in salsa italica.
Studioso delle conseguenze di ciò, la “Questione Meridionale, fu Pasquale Villari che nelle sue “Lettere” (1878!) individuò la chiave per comprendere la frattura tra il Meridione ed il resto di quell’Italia che nei fatti non è mai stata unita: inadeguatezza delle classi dirigenti meridionali posizionate dal Governo piemontese; la drammatica piaga dell’emigrazione fino a quel momento sconosciuta; la profonda frattura economica e civile tra Sud e Nord in costante aumento fino a diventare un fenomeno patologico dei nostri giorni.
Ma come ogni cosa è soggetta e mutazioni profonde, anche le mafie mutarono adeguandosi ai tempi e già nei primissimi anni ’60, protagonisti della cultura e della società come Leonardo Sciascia (Il giorno della civetta – 1961), individuarono un fenomeno che si propagò velocemente e che lui definì “la linea della palma” ovvero quel limite territoriale entro il quale le condizioni consentono alla palma di sopravvivere. Man mano che le condizioni climatiche si scaldano, questo confine si sposta verso nord.
La “linea della palma” mafiosa, si stava spostando a nord.
Il progressivo impoverimento della Sicilia e l’aumento dei flussi di denaro si erano spostati a nord con l’industrializzazione esasperata, il boom economico fatto di edilizia, infrastrutture, ferrovie, autostrade in piena espansione mentre il Sud continuava ad essere messo in attesa di tempi (elettorali) migliori.
Da qui al fenomeno di “emigrazione della mafia” il passo è breve perché le mafie seguono i soldi secondo quel principio che venne individuato da Giovanni Falcone e soprattutto da Paolo Borsellino che individuarono il nuovo corso mafioso nella diversificazione degli affari: nella globalizzazione; nell’infiltrazione in ogni tessuto economico, sociale e politico che sia permeabile e ancor più nell’inestricabile intreccio tra finanza ai limiti della legalità e politica nazionale, europea e mondiale tra riciclaggio di proventi illegali, operazioni off shore, speculazioni disinvolte realizzando astronomici introiti ben difficilmente tracciabili.
Se è vero che “tempus fugit” è altrettanto vero che le mafie cercano di essere ancor più veloci nel determinare tempi ed eventi, ma la costante è che seguono i soldi.
Interrompere questo flusso significa determinare anossìa nel sistema. Falcone e Borsellino lo avevano capito, ma non sono stati seguiti con la stessa velocità che chiedevano.
Un’ultima dimostrazione della capacità di mutare al passo dei tempi ci arriva da una considerazione: fin dall’indomani dei disastri causati dalla pandemia Covid-19 si assiste ad una dinamica di trasferimento eccezionale di fondi dall’Europa verso l’Italia e già l’allora Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero de Raho si è affrettò a lanciare un allarme: “I clan sfrutteranno l’emergenza Covid per mangiarsi l’economia. Non c’è crisi che non sia una grande opportunità per le mafie” lanciando un allarme e al contempo un obbligo alla vigilanza su un fenomeno storico epocale quanto e forse più del Piano Marshall (1947-1951).
Non sarà un caso che tutti, a prescindere dall’appartenenza a questa o quella delle correnti politiche stiano sbraitando o pontificando in tema di PNRR ma tutti affamati come squali intorno al povero naufrago mentre dalle segreterie di corrente i poltrosauri dissenzienti zitti e guai a chi fiata.
(31 luglio 2023)
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