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Salvini da Milano e la ciliegia che gli è andata di traverso e si chiama Zaia

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di Valerio Esposti #Lopinione twitter@milanonewsgaia #Politica

 

La parabola dell’uomo solo al comando è iniziata, la curva ha smesso di salire. Nella Lega si sta delineando uno strappo destinato a stravolgere gli equilibri interni del partito: cosa impensabile fino a qualche mese fa, per la prima volta la leadership di Salvini viene messa in discussione. E Salvini ha paura del “Doge” Zaia, l’unico in grado di spodestarlo.

Lui sorride tracotante, improvvisa un comizio (a che titolo?) sul nuovo ponte che sostituirà il Morandi: il solito copione prevede sproloqui e invettive immortalate in un video da postare su fb. Fatto.
A Genova, una passerella fuori luogo e di pessimo gusto: fatto e già visto. Insomma nulla di nuovo sotto il selfie, tranne il fatto di indossare la pettorina e il caschetto non più come ministro.

La sua scomposta ricerca di visibilità a ogni costo non è dovuta alla campagna elettorale permanente che incarna. La causa ha un nome: Luca Zaia. La crescente popolarità del governatore Veneto fa più paura a Salvini delle pericolose verità sul Metropol di Mosca.

Il ghigno spavaldo e l’ostentata sicurezza non bastano a nascondere sotto il tappeto delle apparenze quello che sta per avverarsi. Comincia a scricchiolare la tenuta finora indiscussa e indiscutibile del capo; nel fortino di via Bellerio, già presidiato dai debiti, si intravedono le prime crepe. In un futuro non poi così lontano, nella sede della Lega potrebbe sventolare il vessillo del Doge.

Galetto fu il video che ha fatto il giro del web: mentre Zaia parlava dei neonati morti a causa di un batterio killer, il segretario della Lega si ingozzava di ciliegie. Poche decine di secondi hanno immortalato due modi di essere e apparire totalmente diversi, se non agli antipodi. Lo specchio di due esponenti dello stesso partito che si pongono in maniera assai differente. È impensabile anche solo immaginare il governatore a torso nudo mentre balla al Papetee davanti a una cubista, tracannando un mojito. Strafottente, onnipresente sui social, mai sazio di slogan zeppi d’odio, ruspe e citofoni, il primo; istituzionale, abituato a lavorare, tutto fuorché assenteista, il secondo.

La popolarità dei due sta registrando un trend inversamente proporzionale: mentre Zaia sale, Salvini perde quota. I sondaggi danno il partito in progressivo calo a livello nazionale; sembra ormai appartenere a un’altra era il 34% delle Europee 2019. Eppure di anno ne è passato solo uno.

Non solo Covid, nel frattempo. Tra i presidenti di regione più popolari, a quanto pare Zaia contende il primato a Bonaccini. Ha gestito l’emergenza con meno conferenze stampa e più risultati: meglio sicuramente del suo omologo Fontana. Gli errori del Pirellone sono costati cari, molto cari, anche in termini di popolarità: il tanto decantato modello dell’eccellenza lombarda ha messo in luce pesanti limiti e falle poco invidiabili nel sistema sanitario.

Curiosa la circostanza, che a posteriori sa di presagio: si ritrovano entrambi sui giornali, nella stessa data, il 21 giugno. Qualcosa scappa alla trama delle uscite concordate. Salvini tuona a Rainews: “Ho fatto tanti errori ma a destra il leader sono ancora io”, aggiungendo che (Zaia) “preferisce restare in Veneto, portare a compimento la sua missione e la riforma autonomista. Gli avevo chiesto già nel 2018 di entrare in squadra, non ha accettato. Tra cinque anni, Luca sarà una risorsa”. Di rimando, il Doge dice la sua alla Stampa: “Non voglio né la Lega né Palazzo Chigi” con un rassicurante “Nessuna scalata al partito, Salvini stia tranquillo”. Decriptato e tradotto il frasario: il primo dice “resta dove sei”, l’altro risponde “è quello che ti faccio credere”. Uno scontato gioco delle parti tra due navigati politici che non si lasciano tradire da messaggi fuori posto, si prodigano in dichiarazioni amichevoli con sorrisi e pacche sulle spalle, attenti a non scivolare sul bagnato delle insinuazioni. Si tratta solo di aspettare chi dei due attaccherà l’altro, è solo questione di tempo.

In molti sono pronti a scommettere che il countdown scatterà a fine settembre, dopo le elezioni regionali: il leghista più popolare del Veneto è il naturale (ri)candidato, oltre che lanciato verso una nuova e scontata vittoria al primo turno. Nessun big del centrosinistra sarà disposto a rischiare in prima persona: ne sa qualcosa Alessandra Moretti, asfaltata nel 2015 da Zaia: nell’occasione, l’attuale europarlamentare del PD non raggiunse il 23% dei consensi.

Il potere logora chi non ce l’ha: cioè il segretario nazionale della Lega. Non incanterebbe più gli italiani con il taglio delle accise; tolti i migranti e gli sbarchi, il disco rotto delle tasse che sono da abbassare, la solita cantilena degli attacchi all’Europa, cosa resta di Salvini? Rimangono i limoni da esibire a torso nudo, simbolo di una strategia comunicativa che non paga più. Prigioniero di una narrazione statica, incapace di rinnovarsi, ormai è la caricatura di se stesso, tanto da competere con il suo alter ego targato Crozza: ha cambiato il look, passando da felpe e magliette all’improbabile versione da ragioniere occhialuto. Tutto qui. Per risollevare le sorti di un partito in preda a una lenta, ma a quanto pare inarrestabile emorragia di consensi, Salvini sa che ci vuole ben altro. Altrimenti, ciaone ai sogni di gloria da leader dell’intero centro destra; sogni che rischiano di diventare incubi.

È finita la pacchia. C’era un tempo in cui nella Lega persino Bossi sembrava insostituibile, poi sappiamo come è andata a finire; Matteo da Milano sembra però non aver imparato la lezione. Arriverà il giorno non lontano in cui il popolo leghista si schiererà, se chiamato a farlo.
L’autunno si preannuncia una stagione non priva di insidie per il “Capitano”: forse un veneto saprebbe governare meglio la nave, con un mare in piena tempesta di voti.

 

(23 giugno 2020)

©gaiaitalia.com 2020 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 





 

 

 

 

 




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