Di questa storia della riforma del titolo V della costituzione, voluta dall’allora presidente D’Alema, ripresa poi proprio da Matteo Renzi che ci si è giocata la carriera politica perché sul Titolo V c’aveva visto lungo, evidentemente non s’è parlato abbastanza se in mattinata addirittura nel dibattito in Senato si è ritornati sulla conflittualità tra riforma del Titolo V e poteri Stato/Regioni.
D’Alema era stato avvertito delle potenziali conflittualità, ma non se ne curò, o chissà cosa successe, salvo poi dire – molto tempo dopo, “Non fui io a cambiare il Titolo V della Costituzione“. Bugia. Non certo la prima. Non certo la più innocua.
Inutile ritornare al referendum che costò il futuro all’Italia e agli effetti di quel “No” che oggi vedono tutti.
Nel caos di questi giorni e nelle miriade di dichiarazioni che si susseguono nel tentativo di salvare il culo a un governo ormai alla canna del gas, ai componenti del quale – non ne salvo nemmeno uno – basterebbe una osservazione critica e sensata della realtà per sapere esattamente cosa fare, l’unica cosa sensata venuta fuori è che senza riforme non si va da nessuna parte, ma se alla necessità di riforme si contrappone un governo la cui unica necessità è riformare se stesso per evitare il ricorso alle urne, tocca capire a chiunque che anche dare torto a Salvini e a Meloni – che hanno torto nel merito e nel metodo – diventa difficile.
Nelle prossime ore la conta (scriviamo attorno alle 13.00) con la possibilità di una maggioranza relativa che non raggiunga i 161 senatori (sapendo che sotto i 161 senatori il governo perderà il controllo delle Commissioni e dovrà vivacchiare per cambiare ogni virgola) e una lenta agonia. A meno che qualcuno non rinsavisca. Per chi crede i miracoli sono sempre possibili.
(19 gennaio 2021)
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