di Daniele Santi
L’ennesimo esempio di politica che mette il paese al servizio del politico e non la politica al servizio del paese ha regalato un altro splendido [sic] esempio durante l’audizione al Senato di Daniela Santanchè la Magnifica la quale anziché discutere con gli Italiani dallo scranno che occupa, e dall’alto del suo stipendio pagato proprio dagli Italiani, di come mettere il governo al riparo da imbarazzi e consentirgli di lavorare in piena chiarezza di intenti, ha parlato di sé, del prezioso figliolo e rendendo noto “io sono felice”: insomma siamo noi ad essere invidiosi. Capito?
Posto che della felicità o infelicità di Donna Santanchè crediamo non importi un accidente nemmeno a lei, laddove la sensazione è che per certune felicità faccia rima con possedere (ma non sono fatti nostri, anzi sì, anche se questo è un altro articolo) sorge spontaneo un inutile quesito: ma che classe politica è quella che da trent’anni mette i propri problemi personali prima di quelli del paese? Che ministri sono quelli per i quali la propria difesa è assai più importante dei loro comportamenti? Che moralità è quella che si millanta salvo poi applicarla solo agli altri essendo dei privilegiati grazie all’immunità parlamentare?
Cambieranno le cose in questo paese quando, in questa Italia presa a sberle da chi dovrebbe governarla (e non è colpa delle toghe, le leggi le fanno i politici non i giudici), chiunque sia anche minimamente sospettato di qualsiasi illecito si svestirà dei propri privilegi, e ne hanno tanti, e si metterà a disposizione invocando un giudizio rapido e percorrendo le strade che lo rendono possibile.
(6 luglio 2023)
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