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La transizione non ideologica: cambiare tutto per non cambiare nulla

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di Vanni Sgaravatti

Pur non essendo esperto di politica italiana (intesa come tattiche partitiche per la conquista e il mantenimento del consenso e del potere) immagino che sia una frase facilmente traducibile dalle fazioni elettorali italiane e dai relativi commentatori del settore: adottiamo le decisioni che favoriscano la transizione ecologica se supportate da inoppugnabili ragionamenti tecnici e non da visioni ambientaliste che sono le bandiere dei partiti all’opposizione.

Se lo capiscono i nostrani concittadini, allora è un messaggio rivolto agli italiani da un palco che dovrebbe favorire il dialogo internazionale per risolvere problemi planetari e impedire abbandoni di terre, diminuzione di terre coltivabili, aumenti stratosferici di morti per fame e sete, aumento stratosferico dei prezzi di beni alimentari e di altrettanto stratosferiche migrazioni. Per citare alcuni degli effetti di cui si sta parlando.

Forse sono più in tema i messaggi dei negazionisti, perché almeno non negano l’importanza planetaria di questi temi, se anche per loro fossero reali. Almeno con i negazionisti si discute con dati alla mano portati avanti da almeno 3000 scienziati che utilizzano fonti ufficiali e non proprio ideologiche. L’analisi tecnica e oggettiva a supporto di soluzioni che favoriscano la transizione ecologica non esiste senza una visione ideologica, che significa sostanzialmente una visione del mondo che vorremmo per noi, ma soprattutto per i nostri figli. I dati non sono interpretabili senza una visione. A maggior ragione se si considera che i fattori principali dei fallimenti delle azioni raccomandate dalle precedenti riunioni Cop sono dovute ad interessi economici delle parti e ai mancati rispetti degli impegni presi. Quindi nessuna infattibilità tecnico-oggettiva scoperta successivamente alle raccomandazioni ha impedito di raggiungere gli obiettivi posti.

Si tratta di problemi enormi: dalla necessità di supportare la crescita dei cosiddetti paesi in via di sviluppo che hanno contribuito molto meno al degrado ambientale necessaria per impedire morti per fame, povertà e relative migrazioni, favorendo invece una decrescita dei paesi ricchi (ma con grandi disuguaglianze al loro interno), andando contro ad una insoddisfazione degli elettori di paesi già sviluppati che si aspettano di mantenere e migliorare il proprio tenore di vita e i servizi di welfare connessi a cui sono abituati.

Per non parlare del fatto che una transizione ecologica efficace richiederebbe non solo tregue dai conflitti e competizioni internazionali armate ed economiche, ma paci vere, che non possono essere tali se non in presenza di rapporti di fiducia tra le parti che sottoscrivono accordi.

E siamo talmente lontani da questa condizione, che le raccomandazioni sugli impegni di quel grande consesso potrebbero concludersi con un “e vissero felici e contenti” del mondo di Disneyland se non suonassero come una grande presa in giro, con conseguenze depressive per chi non riesce a negare la realtà del degrado ambientale di origine antropica e per chi non lo inquadra solo come tenere pulito il giardino di casa propria.

In questo caso, la fattibilità tecnica delle soluzioni ambientali e i relativi risultati sono interpretabili solo alla luce delle convenienze che se sono fondate solo sull’acquisizione o mantenimento del consenso elettorale del qui ed ora del proprio ambito territoriale di legittimazione – l’Italia, in questo caso – non portano evidentemente da nessuna parte. La mediazione negoziale tra interessi politici di tutte le parti in gioco, a partire dalle proprie esigenze elettorali non porta, tecnicamente appunto, da nessuna parte. Solo una visione ideologica come quella che supporta le politiche sulla famiglia portate avanti, per fare un solo esempio dall’attuale governo, può permettere di sopportare sacrifici di oggi per un vantaggio non solo materiale, ma ideale del futuro. Per non parlare della dichiarata adesione al nucleare, ma in particolare quello della fusione, che di fatto significa già contribuire a dare il via ad una riunione come quella all’insegna dell’incertezza e di impegni senza scadenze.

Certo non si può nascondere che anche lo slogan di triplicare l’energia atomica nel mondo significa porre traguardi lontani, ideologicamente a favore di un mondo della razionalità tecnica (con i pro e i contro), visto che dipendere da una fonte energetica che richiede una centralizzazione enorme per il controllo e la manutenzione non favorisce una apertura alla partecipazione del mondo.

Per non parlare di esportare queste tecnologie in Africa senza un improbabile cambio di cultura e di ideologia che comporti una formazione ed un investimento a favore di una reale indipendenza dei paesi colonizzati dalle nuove tecnologie, senza un ritorno (non ideologico) a favore degli investitori internazionali.

E per non parlare del fatto che per un paese come il nostro senza centrali nucleari, partecipare ad un progetto che triplichi l’energia comporta rimanere fanalini di coda e questo per l’ideologia del “made in Italy” è qualcosa che non va bene proprio per niente. Quindi ancora e sempre visione ideologica sta alla base delle valutazioni e delle decisioni, senza la quale i numeri non hanno alcun senso. Una riflessione che fa apparire lo slogan del nostro Presidente del consiglio, un modo per confondere le carte e le menti di elettori già sufficientemente confusi.

Ma in realtà, da un altro punto di vista, va detto che non si può pretendere che la Presidente del Consiglio sia un rettiliano piovuto dal cielo per portare la parola che trasformi il carattere di una nazione che, come è stato fotografato dall’ultimo rapporto del Censis risulta essere un “Paese di sonnambuli senza direzione e senza giovani”. Il paese su cui chi se lo può permettere perché arriva a fine mese e non ha problemi di salute in una sanità in crisi ragiona, senza rendersene conto all’interno della propria comfort zone, affetto dalla famosa sindrome di Nimby (“not in my backyard” – non nel mio giardino).

Chi parte con idee dall’opposizione coltiva l’illusione che i cattivi siano i governanti del momento, che basta sostituirli con loro stessi, un approccio che scoprono essere molto efficace per raccogliere il consenso, perché è il sentimento che alberga in quelli che i politici dell’opposizione vogliono rappresentare. Perché intraprendono quella via? Per motivi personali, per motivi ideali? Non importa inizialmente questa autoconsapevole distinzione.

Poi si ritrovano a governare e non cambiano necessariamente idea, perché anche questa è la visione del diavolo tentatore che trasforma i buoni oppositori in cattivi governanti, ma piuttosto sono tentati ad entrare nella stanza dove suona la banda del Titanic, dove ci sono molte cetre a disposizione che possono accompagnare la visione di un mondo che brucia.

E anche in quel contesto, senza una forte visione del mondo, ideologica appunto, è difficile non entrare nella stanza di quella banda.

 

(4 dicembre 2023)

©gaiaitalia.com 2023 – diritti riservati, riproduzione vietata

 





 

 

 

 

 

 

 

 



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