Donald Trump ha annunciato l’intenzione di chiudere o ridimensionare drasticamente il Department of Education, ma il sistema scolastico americano, già gestito dai singoli Stati, non subirebbe uno stravolgimento. L’istruzione pubblica negli Stati Uniti è infatti una competenza locale, e il ruolo del governo federale, per quanto influente, resta marginale.
Creato nel 1979 per contrastare le disuguaglianze educative, il ministero ha cercato di migliorare la qualità scolastica attraverso finanziamenti e programmi nazionali. Tuttavia, molte delle sue iniziative, come i test standardizzati e il busing per l’integrazione razziale, hanno avuto effetti contrastanti. Il problema è aggravato dall’immigrazione: milioni di nuovi studenti, spesso con un basso livello di istruzione e senza conoscenza dell’inglese, hanno reso sempre più difficile mantenere standard accettabili. Nonostante l’aumento della spesa pubblica, i risultati delle scuole americane restano tra i peggiori dei paesi sviluppati.
Oltre alle difficoltà gestionali, il Department of Education è da tempo un terreno di scontro politico. La destra lo accusa di clientelismo e di favorire i sindacati degli insegnanti, tradizionalmente vicini ai democratici. Per questo i repubblicani sostengono l’espansione delle charter school, istituti finanziati con fondi pubblici ma indipendenti, che i democratici contrastano per la loro mancanza di tutele sindacali.
Negli ultimi anni, il dibattito si è inasprito con l’introduzione di programmi scolastici controversi, come la Critical Race Theory, che analizza il razzismo in chiave sistemica, e le nuove politiche sull’identità di genere. Questi temi hanno reso l’istruzione uno dei fronti principali della guerra culturale americana. L’attacco di Trump al ministero non è solo una questione amministrativa: è il segnale di uno scontro ideologico che divide profondamente il Paese.
(22 marzo 2025)
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