di Stefania Catallo, #25novembre
Il 25 novembre si celebra la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. Come ogni anno, in tutta Italia sono stati organizzati convegni e incontri, spettacoli e manifestazioni, installazioni di scarpe rosse e inaugurazioni di panchine ad memoriam.
Dopo dieci anni passati a dirigere il centro antiviolenza “Marie Anne Erize”, posso dire che tutto questo è importante così come è importante fare informazione, soprattutto tra i giovani, ma che non ci sono state rivoluzioni: a parte l’approvazione del Codice Rosso e l’inasprimento delle pene per i rei di violenza di genere, poco è cambiato.
Le donne hanno sicuramente acquisito la consapevolezza che esiste una rete di strutture in grado di accoglierle e proteggerle, se lo vogliono. Sanno che hanno a disposizione avvocate, psicologhe, dottoresse in grado di supportarle in un percorso difficile e lungo, quello dell’uscita dai loro inferni; tuttavia non c’è una presa di posizione, né tantomeno ci sono dichiarazioni nette da parte degli uomini.
Prendiamo ad esempio la discussione sulla mozione contro la violenza di genere della ministra per le Pari Opportunità, Elena Bonetti: lunedì 22 novembre alle 15.30 al Parlamento erano presenti solo 8 deputati su 650. La scelta del lunedì per la discussione può sembrare poco felice: si poteva slittare al giorno dopo, in quanto proprio a inizio settimana i parlamentari visitano i loro collegi. Tuttavia, mentre nell’Aula si esaminavano le cifre dei femminicidi per il 2021 – numeri altissimi, ad oggi 108 donne uccise – l’assenza dei deputati maschi è parsa uno schiaffo, e anche una risposta molto chiara a chi si domanda cosa fa lo Stato per tutelare le donne. Forse che non è importante discutere di femminicidio? Forse che le donne uccise non meritavano un minimo di considerazione?
Intorno alla violenza di genere gira molta ipocrisia. Quella di chi si mostra pietoso con le vittime, ma poi magari pensa “se l’è cercata”. Quella dei vicini di casa che dicono dell’omicida “era un tipo tranquillo sa, mi salutava sempre”, come se un uomo violento non potesse cercare di mostrarsi educato per non dare nell’occhio. Quella della politica, che propone ma poi fa il passo indietro, e quando lo fa in avanti è in ritardo di decenni rispetto al resto dell’Europa. Quella di chi ne fa un cavallo di battaglia elettorale e poi una volta eletto non se ne interessa più. Quella di chi chiude le strutture di zona, come la nostra, inaugurata nel 2011 a Tor Bella Monaca colpita da sfratto e damnatio memoriae nel 2018 dopo una mozione presentata dall’allora maggioranza del Municipio 6, e poi mette in quelle stanze un’agenzia di riscossione degli affitti delle case popolari. Non voglio perdere la speranza che esista un futuro migliore.
Io ci credo.
(articolo pubblicato dal blog In Altre Parole di Stefania Catallo)
(25 novembre 2021)
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