di Giovanna Di Rosa
La presidente Meloni sembra avere deciso di brandire il manganello nei confronti dei governatori della sua parte politica colpevoli di vedere di buon occhio la nomina di Stefano Bonaccini a commissario per la ricostruzione dopo l’alluvione, ruolo svolto efficacemente dopo il terremoto del 2012 (e viene accusato di avere cementificato, ma quando il terremoto rade al suolo come costruisci senza cementificare? Un dettaglio).
Meloni sbaglia perché tra i governatori che appoggiano l’eventuale nomina di Bonaccini ci sono Zaia e Fedriga che non solo sono leghisti ma rappresentano con i loro voti personali il 70% del consenso della Lega nel nord-est e quei voti costringono Salvini a non dirne di troppo grosse, anche se conoscendo il soggetto certe intemperanze fanno parte del gioco. Meloni dimentica poi, o forse no, che Zaia, Bonaccini e Fedriga sono, proprio in quell’ordine, i presidenti di Regione più popolari d’Italia appoggiati dalla stragrande maggioranza dei cittadini che li hanno votati e li rivoterebbero, al contrario degli improvvisati di Fdi che governano altre regioni e sui quali nemmeno si possono spendere parole, commentandosi da soli.
Meloni non attacca direttamente, perché è troppo politicamente intelligente per farlo, ma si rifugia nell’antica trappola tutta italiana del benaltrismo, dicendo quello che al volgo appare giusto nel momento giusto e cioè che se non si trovano prima i soldi non ha senso parlare di commissario. Vangelo. Ma dimentica un particolare solo apparentemente di nessunissima importanza: Bonaccini ha dimostrato di saper trovare i soldi, quando servono, e di sapere come lavorare (in nove anni di presidenza ha lavorato con sette differenti presidenti del consiglio) affinché il governo (i governi) rispetti gli impegni presi. Non ci si sgancia da un presidente di centrosinistra (anche se sei/sette miliardi da governare fanno gola, soprattutto a certo leghismo) bacchettando quelli di destra con maschia determinazione. A partire dai due più potenti….
(26 maggio 2023)
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